Avatar e il 3D mancato


Avatar Cameron


    Si trovano recensioni di ogni tipo, la mia vuole essere abbastanza critica, specie in relazione al fatto che ciò che si vuole narrare finisce sempre in secondo piano. A proposito di Avatar si è detto di tutto in senso positivo, invece, di particolare, che manda in depressione e che può uccidere.

    Per parlare in generale di un film, in questo caso di Avatar, occorre trattare varie questioni separatamente.


    Prendiamo il titolo, Avatar: secondo la religione induista, è il corpo umano assunto temporaneamente da un Dio. In internet, quest’analogia si è diffusa tramite l’immagine, l’icona, che si usa nel profilo di forum e chat.

    Per quanto concerne il tessuto narrativo del film, anche i più euforici entusiasti, senza dichiararlo esplicitamente, hanno riconosciuto quanto questo sia piatto, ovvero noioso e banale: non un’idea brillante, non un colpo di scena, neanche un artificio narrativo, non un qualsiasi espediente che risollevi la piattezza della narrazione del film. Con ciò non voglio dire che mi sarei aspettato alta e raffinata letteratura, però almeno qualche inventiva per realizzare un intreccio più articolato si.

    A proposito della trama, il film è ambientato nel 2154: un marine paralizzato, come-quando-perché non è dato sapere, deve infiltrarsi nella comunità dei Na’vi, nativi di Pandora che è la più grande sede del giacimento intergalattico di un materiale indispensabile a salvare il pianeta Terra, l’Unobtainium (aspetto che nel film è detto poco e male, proprio come per la paralisi del marine, forse perché a Cameron poco importa l’intreccio narrativo). Gli umani, per muoversi su Pandora, usano gli avatar, una sorta di topi antropomorfi blu alti tre metri, molto simili ai Na’vi, tratti dal DNA di un essere umano e conservati sotto soluzione: quando l’umano si addormenta, l’avatar prende vita e viceversa. L’avatar deve infiltrarsi per passare informazioni importanti agli invasori terrestri, ma, solidarizzando coi Na’vi, finisce con l’allearsi con questi ultimi: dopo una battaglia, in cui gli indigeni armati di archi e frecce vincono solo perché sono giusti e dalla parte di Madre Natura, il soldato buono abbandona le spoglie terrestri per rimanere su Pandora.

    Da ciò, si evince che sicuramente non è la sceneggiatura ad aver tenuto impegnato Cameron cinque anni in questo film. I più euforici diranno che in Avatar è lo spettacolo che conta, bisogna farsi prendere dalla fantasia, lasciandoci andare al colore e al movimento. Magari fosse così! Purtroppo, nonostante il discreto livello tecnico della CGI (Computer Generated Imagery, ovvero immagini generate al computer), il mondo appare di plastica colorata: ci viene presentato come qualcosa di credibile, nonché foto realistico, ma nella saturazione di colore e di materia si nota “l’inganno”; inoltre, una foresta vera è sudicia, umida e terrosa, qui invece ogni particolare della foresta è limpido, lucido, quasi rasenta la perfezione cristallina. Senza contare poi che la flora, la conformazione del territorio, le creature hanno un sapore di già visto, di già elaborato quindi di banale e scontato. Ciò che invece mi sembra davvero suggestivo e innovativo è rappresentato dall’albero delle anime e dalle trecce che permettono di scoprire l’interiorità dell’essere.

    A proposito di scontato, c’è da sottolineare che, vedendo Avatar, capita spesso di provare la sensazione di deja vue: in altri termini, Cameron ruba qua e là. Ad esempio, possiamo partire dal titolo: i cineasti conoscono Avatar già dal 1915, grazie a Carmine Gallone. Ancora, il “doppio”, che vive solo quando l’originale dorme, richiama I fiori blu di Queneau; poi, un richiamo anche troppo evidente a Pocahontas, da cui deriva, oltre che praticamente quasi tutta la trama, l’immagine dei Na’vi, la treccia e l’acconciatura da moicano; ancora, alcune sequenze richiamano Star Wars; persino Apocalypse Now, in cui i selvaggi civilissimi sono in stridente contrasto coi soldati e marines che sembrano far parte del genio guastatori. Inoltre ci siano già tre minacce di causa per plagio, tra cui quella dell’italiano Guido Manuli (una copiatura anche troppo palese!).

Fotogramma tratto da “Aida degli alberi”, regia di Guido Manuli, anno 2001, durata: 97’
Fotogramma tratto da “Avatar”
     Al di là di questi aspetti, Cameron va elogiato nell’utilizzo della motion capture (ovvero la cattura del movimento), che tenta di conferire espressioni facciali umane credibili su simulacri in CGI: ha fatto notevoli passi avanti, vediamo parti del volto muoversi realisticamente, anche se il resto rimane immerso nella finzione e l’effetto non è dei più eleganti. Se volete saperne di più vi consiglio di visitare questo link

    Sempre per quanto concerne la resa cinematografica, ciò che emerge prepotentemente dalla visione del film è l’uso del 3D. Certamente è da escludere il fatto che Cameron abbia realizzato male e maldestramente gli effetti 3D. Ciò che secondo me manca è il significato del 3D: sicuramente avrei apprezzato maggiormente un Cameron capace di emancipare il 3D da banale sfondo scenico, cioè avrei preferito vedere un pioniere di un nuovo linguaggio filmico, un linguaggio in cui il 3D influisce anche a livello semantico, per cui vedere Avatar in 2D significherebbe perdere tanto in termini di interpretazione del film. Vedere macchine e animali saltare, correre, volare in modo gratuito, tanto per far scena, è veramente annoiante, non si prova alcuna sensazione, (anche) perché Cameron ne fa un uso smodato e senza conferirgli valore semantico.

    Infine, altro aspetto è rappresentato dalle tematiche trattate. C’è chi ha definito Avatar un kolossal ecologista: troppo semplice secondo me, specie perché ecologismo e buonismo sono alquanto sfacciati. Raschiando via questa patina fatta appunto di ecologismo e di buonismo, ho notato il conflitto fra chi riesce a comunicare in modo in modo immediato ed efficacemente profondo e chi necessita di pesanti e sofisticate strutture, tra chi riesce a percepire l’interno dell’essere coi propri occhi (o meglio con la propria treccia) e chi ha bisogno di scanner e monitor.

    Cameron avrebbe potuto ridisegnare parte del linguaggio cinematografico, ovvero avrebbe potuto con Avatar segnare l’inizio di un periodo in cui il 3D avrebbe indossato non solo le vesti di un effetto spettacolare, ma anche una direzione da intraprendere per conferire alle scene filmiche un significato particolare, un significato che senza il 3D sfumerebbe e non sarebbe in altro modo realizzabile.

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